domenica 29 aprile 2012

i love shopping


vado alla nota catena svedese di abbigliamento per comprare un paio di jeans, un’operazione apparentemente priva di particolari difficoltà, visto che i jeans che voglio io devono avere un unico requisito: non devono attufare (dove per attufare si intende l’azione di soffocamento e implosione causata dalla eccessiva pressione e stretta della stoffa sugli arti inferiori e sui fianchi). 
le mie convinzioni vacillano non appena mi accorgo che esiste una tabella, che riporta tutte le combinazioni possibili di modelli di jeans e che in teoria dovrebbe semplificarti la scelta, ma che in realtà risulta criptica come la stele di rosetta prima dell’arrivo di champollion. 
dalla tabella apprendo che quelli che a miei tempi si chiamavano jeans stretti e a cica, ora si chiamano something ultraslim e ce ne sono interi scaffali. purtroppo la tabella non riporta nessun modello something not attufing, e solo dopo approfonditi studi e confronti evinco che i più simili ai miei desiderata corrispondono alla categoria straight regular.
di straight regular ne sono rimasti tre, inguattati nell’angolo più nascosto del reparto, misure: 26, 27, 28.
scopro che per calcolare la tua misura devi aggiungere 14 alla taglia indicata; solo che io, forse perché come sempre quando si tratta di numeri mi distraggo, aggiungo 11, moltiplico per 3,14, divido per sei col resto di due e decido di portare meco nel camerino tutti e tre i jeans.
nel camerino, osservo con orrore e raccapriccio la mia immagine riflessa in uno specchio che, con mio sommo rammarico, non ha fotosciop integrato; decido che quello è uno specchio deformante, scarto dei luna park dei film de paura da quattro soldi, e che in realtà la mia immagine è quella di sempre, ovvero una via di mezzo fra angelina e monica e torno a sorridere alla vita. 
per puro culo il primo paio di jeans che provo mi sta e non attufa, quindi mi dirigo alla cassa tutta trionfante e anche un po’ estenuata.

lunedì 23 aprile 2012

manifesto del manicotto


un po’ per celia, un po’ per non morire, è nato il club delle sciure: un numero variabile di donne che si riuniscono in base al principio che la frivolezza è un valore aggiunto, che la vera sciura è risolta e consapevole, non deve dimostrare niente a nessuno e quindi può, anzi è per lei un imperativo morale abbandonarsi a conversazioni e attività futili e inutili.
nel corso di tali conversazioni si è stabilito che fra i modelli di riferimento sciurili ci siano, ad esempio, la marchesa di merteuil e alma mahler e si è giunte all’elaborazione di quella che è stata definita la filosofia del manicotto, dove per manicotto non si intende il giunto usato per collegare i tubi, ma quell’accessorio, inspiegabilmente passato di moda, in cui si infilano le mani per ripararsi dal freddo.
le sciure vagheggiano il ritorno del manicotto; ovviamente di pelliccia, possibilmente di zibellino (noblesse oblige). 
perché il manicotto non è un semplice accessorio, ma una dichiarazione di intenti: nel manicotto, oltre alle mani, al massimo c’è spazio solo per il fazzoletto, o per il rossetto. e tutto il resto? chiavi, portafogli, cellulare, dove li metti? tsk, queste sono zavorre, pleonasmi, inutilia. 
per simili quisquilie, per questi aspetti prosaici e terra terra c’è l’accompagnatore: padre, marito, fratello, amico, maggiordomo, valletto, primo pirla che passa per strada, il quale si fa carico di aprire porte, pagare i conti, recapitare messaggi, fronteggiare le cacacazzerie, semplificare la vita della vera sciura. 
perché noi, sciure in pectore che nella vita reale ci affanniamo a destra e a manca come trottole impazzite, non ciabbiamo più voja de fa’ ‘n cazzo e vorremmo un bel manicotto, anche in finto castorino, anche in topo morto, per rifiatare almeno cinque minuti cinque.

martedì 10 aprile 2012

l'importante è l'armonia in famiglia

sul treno da roma a milano viaggio accanto ad una famigliola - madre, padre, figlio sui dieci anni - apparentemente da mulino bianco. sono tutti belli, glaucopidi e molto gentili fra loro, ma una certa tensione aleggia nell'aere. 
me ne rendo conto perché la madre, sia pure con tono calmo e pacato, non perde un'occasione che è una per rinfacciare qualcosa al padre.
non so dove hai messo il tuo zainetto, devo curarti io le tue cose? 
piantala di masticare la gomma in quel modo 
sei tu che hai voluto l'auto a due porte, quando lo sapevi benissimo che io la volevo a cinque porte! 
guarda se tua figlia si degna di chiamare...
und so weiter.
il padre non reagisce, ne deduco quindi che è sordo, o è rassegnato, oppure ha qualcosa da farsi perdonare. e infatti, piano piano salta fuori che il giorno di pasqua era suonato l'allarme di casa loro collegato al cellulare del padre, il quale padre non si era minimamente scomposto, né aveva ritenuto opportuno indagare sull'accaduto. 
"se entro in casa e ci sono stati i ladri tu non hai idea di cosa faccio", ha sibilato la madre. 
avrei voluto esserci.